W l’Italia (1978, Fausto e Jaio, Aldo Moro, Mauro Brutto e Valerio Verbano)

(Scritto da Alberto Scarpetti autore dello spettacolo teatrale W l’Italia in scena al Teatro Elfo di Milano). Fausto Tinelli e Lorenzo (Jaio) Iannucci, al di là della loro posizione politica negli anni di piombo, peraltro moderata, sono l’emblema del cittadino che è stato sacrificato per trame politiche e militari fuori controllo.
La rinuncia a venire a capo della realtà dei fatti è una ferita per il diritto e per la dignità del Paese. Fausto e Jaio stavano raccogliendo informazioni con interviste sul campo, registrate meticolosamente su nastri poi misteriosamente trafugati dopo la loro morte, sul traffico di stupefacenti nel quartiere di
Lambrate Città Studi, gestito da potenti ambienti della malavita organizzata e dell’estrema destra milanese. L’indagine personale era una consuetudine diffusa nella sinistra extraparlamentare. Dopo il loro omicidio il 18 Marzo 1978 da parte di un trio che li attendeva nei pressi del Leoncavallo, le
indagini ufficiali condotte dal Sostituto Procuratore Armando Spataro e passate ad altri 4 sostituti procuratori, non hanno mai individuato né i mandanti né gli esecutori di questo delitto. Al ritorno dal cimitero di Trento dove i familiari portarono la bara di Fausto, trovarono la casa messa sotto sopra. Erano scomparsi solo i nastri registrati da Fausto. Erano entrati senza scasso. Alla madre di Fausto, Danila Tinelli, non erano stati restituiti gli effetti personali del figlio, tra cui le chiavi di casa. Per mesi il giornalista de l’Unità Mauro Brutto raccoglie elementi sul delitto di Via Mancinelli. In novembre qualcuno gli spara tre colpi di pistola senza colpirlo. Pochi giorni dopo il giornalista mostra quindi una parte del suo lavoro ad un colonnello dei carabinieri. Dopo alcuni giorni, il 25 novembre dopo cena, Brutto ha
appuntamento con una sua fonte informativa. Lo vedono entrare in un bar di via Murat, comprare le sigarette, uscire, attraversare la strada. A metà della carreggiata si ferma per far passare una 127 rossa. In senso inverso arriva una Simca 1100 bianca che punta sul pedone, lo investe e scappa. Sparisce il borsello di
Brutto, pieno di carte. Lo ritrovano qualche ora dopo in una via vicina, vuoto. Furono svolte poche e veloci indagini per chiarire le circostanze che determinarono la morte del giornalista.
Dell’automobile che lo investe e del suo conducente non si saprà mai nulla, e molte cose nella dinamica dell’incidente non convincono ma ciononostante il caso viene archiviato.
Il 24 settembre 1999, il Pm di Milano Stefano Dambruoso chiede l’archiviazione per Fausto e Jaio, e con il decreto del 6 dicembre 2000 si mette la parola fine all’inchiesta, nonostante la presenza di “significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva ed in particolare degli attuali indagati …”, come scrisse la
Giudice delle Udienze preliminari del Tribunale di Milano, Clementina Forleo nella sua conclusione. Gli indagati portavano al gruppo NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari, che fu un’organizzazione armata italiana d’ispirazione neofascista ma sostanzialmente solo criminale, nata a Roma ed attiva dal 1977 al 1981, priva di una specifica organizzazione gerarchica. Durante i quattro anni di attività i NAR furono ritenuti responsabili di 33 omicidi, oltre che della morte di 85 persone cadute nella Strage alla stazione di Bologna. Non si sa se i due ragazzi abbiano visto qualcosa e per questo siano stati ammazzati. Si crede plausibile che un commando NAR con base a Roma abbia voluto dare un segnale di scontro militare, in una zona ed un luogo precisi di Milano, verso una area politica determinante al fine di creare uno stato di forte caos, funzionale all’apparato repressivo, a pochi giorni dal rapimento di Aldo Moro. Rimane il sospetto che ancora oggi non si voglia andare fino in fondo sul movente dell’omicidio di Fausto e Jaio perché nasconderebbe chissà quali connivenze e collegamenti. Né i pentiti di destra, né i servizi segreti, né l’alto comando dei carabinieri, neppure i pochi magistrati che sanno qualcosa, rendono note le informazioni in loro possesso. Il perito Aldo Granuli scrive nella sua relazione peritale del 1988 per il sostituto procuratore Stefano Dambruoso (sopra citato): “I fascicoli sull’omicidio si presentavano poveri, non comparivano note confidenziali, nessun scambio epistolare con altri corpi di polizia, nessun passaggio d’inchiesta. Il silenzio appare strano. Totale assenza di veline. Nessun rapporto della squadra narcotici. Nessun informatore ha acquisito la minima notizia sul caso.” L’anomalia, se così si può chiamare, non si ferma però qui. A circa otto metri di distanza dalla camera di Fausto Tinelli, al civico numero 8, c’era un covo delle Brigate Rosse che è stato ‘ufficialmente’ scoperto il 1° ottobre 1978 e dove gli inquirenti hanno trovato le carte originali del memoriale di Aldo Moro ed i verbali del suo lungo interrogatorio prima di essere ucciso. I documenti vennero inizialmente presi in consegna dalla Digos, per essere poi consegnati ed autorizzati alla pubblicazione dalla Commissione Stragi, solo 23 anni dopo, nel 2001. All’ultimo piano della palazzina dove abitava la famiglia Tinelli, c’era una mansarda trasformata in un mini appartamento, e da lì gli agenti dei servizi segreti controllavano il covo delle Brigate Rosse. Alla Commissione Moro verrà detto che l’appartamento era stato affittato solo nel luglio del 1978 ma la madre di Fausto già dal gennaio del 1978 vedeva persone entrare in quella mansarda con scatoloni e parabole. Oggi sappiamo che le forze dell’Ordine, verosimilmente per coprire gli infiltrati nelle Brigate Rosse, non dissero fino in fondo molte verità nelle loro mani, tra cui la verità sul particolare di un altro borsello, importante almeno quanto quello del giornalista Mauro Brutto, che conteneva documenti e chiavi dell’abitazione di Lauro Azzolini, un brigatista poi additato come infiltrato dei servizi segreti. Il borsello fu trovato a Firenze ed avrebbe quindi portato gli inquirenti al covo brigatista milanese di via Monte Nevoso.
Quelle carte avrebbero potuto riscrivere un pezzo di storia del Paese. Senza riportare qui le notizie che mostrano l’influenza reazionaria e dei servizi segreti sul destino di Aldo Moro, a posteriori si riesce a dire che si delineerebbe quindi, nell’assassinio dei due ragazzi, un messaggio trasversale fra servizi deviati italiani che avevano collegamenti con gruppi armati eversivi e già avevano modo di infiltrare o perlomeno condizionare l’operato delle BR, oltre che l’eliminazione di un potenziale ‘investigatore’ (Fausto Tinelli) che già da tempo, con i suoi più stretti compagni, osservava con acuta attenzione la realtà politica del periodo non solo in ambito milanese e che verosimilmente si sarebbe imbattuto in qualcosa di più grosso dei fatti di droga di quartiere. Come per l’assassinio di *Valerio Verbano avvenuto due anni dopo a Roma (anche Valerio, come Fausto e Jaio, è stato ucciso giovanissimo e stava raccogliendo materiali sull’estrema destra ed i suoi traffici), si ritiene oggi verosimile che servizi segreti più o meno deviati, e manovalanza criminale, abbiano collaborato per salvare lo status della politica nazionale, fatta di intrighi, depistaggi e crimini di ogni sorta. Di cui le stragi di stato sono a perenne memoria.
Valerio Verbano ed il collegamento con Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci Valerio Verbano. Seguendo una consuetudine diffusa nella sinistra extraparlamentare, aveva condotto indagini personali e redatto un fascicolo, poi detto dossier NAR, nel quale aveva raccolto molte informazioni e documentazione fotografica sull’estremismo di destra romano (NAR, Terza Posizione ed ambienti affini), con nomi, foto, luoghi di riunione, amicizie politiche e presunti legami con gli apparati statali. Il 20 aprile del 1979 il ragazzo Valerio Verbano viene arrestato con l’accusa di fabbricazione di materiale incendiario. Sempre nell’aprile 1979, i documenti che erano stati sequestrati dalla polizia scompaiono dagli archivi; la scomparsa viene poi denunciata anche dagli avvocati della famiglia di Valerio il 26 febbraio 1980, che ne conoscevano il contenuto e l’elenco del materiale. Valerio viene condannato il 22 dicembre 1979. Il 22 febbraio 1980 Valerio Verbano viene assassinato dagli stessi uomini di cui aveva seguito le gesta e le collusioni con la criminalità organizzata romana, tra cui anche la Banda della Magliana. La sparizione dei
fascicoli redatti da Valerio viene definitivamente accertata quando, nell’ottobre del 1980, i genitori chiedono il dissequestro dei materiali, tra i quali manca appunto quello che viene definito dossier NAR. Dell’esistenza di questo “dossier” era a conoscenza anche un giudice che indagava sull’eversione nera,
Mario Amato. La documentazione raccolta da Valerio, che era sparita prima della sua morte dall’ufficio corpi di reato, sarebbe ricomparsa tra le mani del Giudice Mario Amato che muore anch’egli per mano dei NAR il 23 giugno 1980. Ampi stralci di questo dossier sono riapparsi nel febbraio-marzo del 2011, pubblicati dal Corriere della sera e da Liberazione.