Somoza: vent’anni di Brics

(Osaka – Japão, 28/06/2019) Presidente da República, Jair Bolsonaro, durante foto de família dos Líderes dos BRICS. Foto: Alan Santos / PR – immagine tratta dal sito di Alfredo Somoza

Vent’anni di Brics

Pubblicato: 13 dicembre 2021 in Mondo
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Nel 2001 Jim O’Neill, il socio di Goldman Sachs responsabile del settore di ricerche sull’economia globale, usò per la prima volta l’acronimo Bric per indicare Brasile, Russia, India e Cina. Secondo O’Neill, queste erano le economie destinate a crescere più velocemente nel primo decennio del XXI secolo. La sua analisi partiva dalla semplice constatazione che nel 2000 il PIL a parità di potere d’acquisto dei Paesi Bric equivaleva a un quarto del PIL mondiale, e che il trend era in veloce crescita. Nel 2009 gli stessi Paesi formalizzarono la loro associazione. In realtà avevano già cooperato in precedenza: ad esempio durante il Vertice di Cancun del WTO del 2003, dove erano riusciti a bloccare il Doha Round che aveva al centro l’agricoltura e il protezionismo. Ancora prima, nel 1999, avevano esercitato una forte pressione sulle potenze occidentali ottenendo l’istituzione del G20, oggi ben più importante del G7. Nel 2011 nel club dei Bric fu incluso anche il Sudafrica – più che per motivi di peso economico, perché mancava uno Stato in rappresentanza dell’Africa – e l’acronimo del gruppo divenne Brics.

A distanza di vent’anni, le previsioni di O’Neill non si sono rivelate pienamente esatte. È vero che oggi i Brics sono, nell’insieme, più potenti di prima, ma questo si deve essenzialmente alla Cina, che ha battuto ogni record di crescita economica e geopolitica. L’India ha “tenuto”, camminando con il suo ritmo lento e progredendo sotto tanti aspetti, soprattutto sociali. Invece Russia e Brasile contano meno di vent’anni fa. Entrambi gli Stati hanno pagato il conto delle crisi altrui, essendo esportatori netti di materie prime alimentari o energetiche, ma ha avuto un peso anche la politica: il Brasile di Bolsonaro si è autoisolato, la Russia di Putin ha concentrato le risorse nel mantenimento di un apparato militare sproporzionato rispetto alla struttura economica del Paese.  Inoltre Brasile e Russia sono fortemente dipendenti dagli acquisti del loro “socio” cinese. Questa situazione ha fatto mutare la natura dei Brics, nel senso che non si tratta più di un club tra pari (o quasi), com’era all’inizio, bensì di un gruppo di Stati che gravita attorno a un solo socio, la Cina. Finora i Brics sono stati utili per creare una massa critica che agevolasse l’emergere della Cina: il punto da chiarire per il futuro di questa aggregazione è se oggi essa abbia ancora senso per Pechino.

Gli Stati Uniti hanno scelto chiaramente come antagonista la Cina, da sola. E il mondo sta entrando velocemente in una fase di bipolarismo, sia pure dalle caratteristiche diverse rispetto a quello della Guerra Fredda, nel senso che i due contendenti, in un’economia globalizzata, sono fortemente dipendenti l’uno dell’altro. Invece India, Russia e Brasile rimangono potenze regionali, nel caso russo con qualche pretesa su scala più vasta.

Si ripete quindi, anche nel sodalizio dei Brics, la dinamica che si è verificata nel G7, dove ci sono gli USA che dirigono e sei gregari che seguono. Ma le superpotenze, quando si misurano tra loro, in pratica lo fanno da sole: lo si è visto sia alla Cop26, con il documento di intesa sul clima firmato tra USA e Cina senza che nessuno ne fosse al corrente, sia poche settimane prima, quando Washington ha lanciato l’alleanza ANKUS per militarizzare il Mar della Cina prendendo alla sprovvista la Francia e tutta l’Unione Europea. Da sempre le grandi potenze sono fatte così: danno vita a intese con gli alleati quando sono in posizione di svantaggio, per procedere da sole non appena si sentono forti. E questa è una fase in cui entrambe le superpotenze si sentono forti. Perciò è facile prevedere che stanno arrivando tempi difficili per i vari club internazionali.