Somoza: il Brasile torna al voto

Il Brasile torna al voto

Pubblicato: 28 ottobre 2022 in America LatinaSenza categoria
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Si chiude una brutta campagna elettorale per il secondo turno delle presidenziali brasiliane. Nel dibattito faccia a faccia tra Jair Bolsonaro e Lula, soltanto il 7% del tempo è stato impiegato dai candidati per illustrare i loro programmi. Il resto sono stati attacchi reciproci: con accuse di corruzione da parte di Bolsonaro nei confronti di Lula, e di negligenza criminale durante la pandemia da parte di Lula nei confronti di Bolsonaro. È questa la cifra di un’intera campagna che fotografa un Paese spaccato in due, non tanto sulle idee quanto sul riconoscimento stesso della legittimità dell’avversario. Bolsonaro pensa che Lula sia un delinquente, Lula pensa che Bolsonaro sia un criminale. E il Brasile si divide come tra tifoserie calcistiche: salta il dialogo istituzionale, si sentono rumori nelle caserme, vengono tirate per la giacchetta – o per la tonaca – le chiese evangeliche e quella cattolica.

Questo gioco al massacro è stato impostato e sviluppato con successo da Bolsonaro, rompendo definitivamente una tradizione di convivenza tra le forze politiche di opposto segno. Nel continente americano si tratta di un male comune: è accaduto lo stesso negli Stati Uniti con Donald Trump, in Argentina tra peronisti e antiperonisti, in Ecuador tra destra e sinistra. In Argentina si parla di grieta, cioè “spaccatura”, quando si vuol rendere l’idea di una divisione in fazioni contrapposte, senza più dialogo né reciproco riconoscimento. E la democrazia ne risente, perché lo sconfitto sicuramente denuncerà brogli elettorali, pur senza averne le prove, e i suoi elettori non riconosceranno mai come legittimo il vincitore uscito dalle urne.

In Brasile c’è tutto questo ma c’è anche molto di più, perché nel secondo turno delle presidenziali sono in gioco il modello di Paese e l’idea di società: la scelta è tra quella bianca e benestante, che pensa ai poveri come a un fastidio e un pericolo, e quella forgiata da una miscela di etnie, nella quale i poveri sono una speranza se sostenuti da uno Stato che riesce a far crescere l’economia e creare posti di lavoro. Lula e Bolsonaro, è evidente, non sono la stessa cosa, e non solo per la loro storia personale: hanno in testa due Paesi diversi. Uno piccolo e chiuso, che sfrutta le sue potenzialità agricole e tutela gli interessi dei grandi capitali; l’altro più grande e aperto al mondo, potenza regionale e protagonista sulla scena internazionale. Un Brasile che non è solo un gigante agricolo, ma anche una media potenza industrializzata. Domenica si scontreranno due modelli di Paese, eppure non saranno questi i temi in base ai quali una bella fetta di elettori prenderà la sua decisione. A fare la differenza sarà stata la maggior “bravura” di quello che ha dato del criminale all’altro o di quello che ha risposto dandogli del delinquente. Nel teatrino della moderna comunicazione i contenuti sfumano, ma questo non vuol dire che non ci siano. Anzi.

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