Milano. Lo stupore e la luce: la mostra di Canaletto e Bellotto

di Mauro Caron
 Gallerie d’Italia (al plurale perché altre sedi espositive sono a Vicenza e Napoli), in piazza della Scala a Milano, ospita fino a marzo la mostra dedicata a Canaletto e Bellotto, due dei più noti vedutisti del ‘700.

Andare a visitare la mostra è prima di tutto un’occasione per visitare il complesso di palazzi (costruiti tra il ‘700 e il ‘900) che ospita anche le collezioni permanenti di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo, dedicate all’800 (da Canova a Boccioni) e al ‘900. All’ingresso, molta bella è la parte che ospitava la Banca commerciale italiana, costruita all’inizio del ‘900 da Beltrami: ampi e luminosi saloni, marmi e ferro battuto, grandissimi soffitti a lucernario con vetri a piombo policromi, i bellissimi sportelli d’epoca della banca, ecc. Si respira l’aria dei soldi e di una grandeurd’anteguerra; ma i soldi, come la storia dell’arte insegna, sono stati anche grandi produttori di bellezza estetica.

Dopodiché siamo venuti qui per vedere Canaletto e Bellotto, “Lo stupore della luce”. Ci sono più Bellotto che Canaletto, innanzitutto. Bellotto era il nipote di Canal, detto Canaletto, e uno degli allievi della sua bottega veneziana di pittura. Talmente bravo da imparare la tecnica e la poetica dello zio con perfezione tale che a un occhio profano è difficile distinguere le opere dell’uno da quelle dell’altro. Alcuni soggetti sono stati dipinti da entrambi i pittori, con risultati pressoché indistinguibili. Bisogna fare molta attenzione alla tecnica di resa delle architetture e alla qualità della luce atmosferica, ma vi assicuro che anche così è facilissimo sbagliarsi.

Famosissime sono le loro vedute di Venezia, una città che ha mantenuto ancora fino a oggi la sua inconfondibile identità architettonica e urbanistica, arrivata senza troppi stravolgimenti dall’epoca dei due pittori fino ai giorni nostri, ritratta dai due in vedute nitide, immersa in una luce diffusa, serena e mai troppo violenta, con un’attenzione minuziosa ai più minuti dettagli architettonici e animata dalle figure dei personaggi impegnati nelle proprie attività quotidiane.

Tra il signore col bastone alzato ricorrente in molti quadri, i signori in tabarro, i cagnolini, le gondole e le carrozze, i popolani e le rare figure femminili, ci si aspetta davvero di scorgere la figura di Giacomo Casanova: se infatti i quadri di Bellotto e Casanova ci offrono una preziosissima rappresentazione visiva dei paesaggi e dei costumi dell’epoca, le Memorie di Casanova, oltre a costituire una lettura di impagabile godimento per la sbalorditiva quantità e varietà di avventure vissute (e in grandissima parte documentate) dal personaggio, sono un formidabile affresco in campo letterario della vita non solo veneziana ma panaeuropea che copre buona parte del XVIII secolo.

Gli stessi Bellotto e Canaletto non sono riducibili alle sole celeberrime vedute veneziane: ottenuto un clamoroso successo, infatti, le loro richiestissime attività pittoriche si spostano non sono attraverso l’Italia (Milano, la valle dell’Adda, Vicenza, Torino, Roma, le cui rovine danno lo spunto per numerosi capricci, cioè paesaggi che includono elementi di fantasia o collocati altrove, con un gusto in bilico tra neoclassicismo e preromanticismo), ma anche in Inghilterra e in Germania, dove riscuotono un grande apprezzamento (Bellotto muore a Varsavia, lontano dalla Venezia della sua giovinezza e della sua formazione).

Apprezzamento che si appannò in seguito nel giudizio dei critici, che videro in Canaletto un freddo riproduttore della realtà esistente, poco rielaborata personalmente e artisticamente, e peggio ancora nel Bellotto il riproduttore di un riproduttore.

La rivalutazione avviene solo qualche decennio fa; i quadri esposti, spesso di dimensioni medio-grandi, meritano di essere apprezzati nella veduta d’insieme e nei dettagli.

Tra le curiosità, a questo proposito, io mi sono divertito ad osservare l’evoluzione dell’abilità del Bellotto a ritrarre i cavalli, inizialmente quasi nascosti o ripresi di sguincio, poi sempre più protagonisti anche in seguito alle esperienze inglesi, dove l’animale godeva di una grande reputazione anche in campo pittorico. Altra curiosità che merita attenzione è la camera ottica, per certi versi antesignana della moderna macchina fotografica, uno strumento molto utile per i pittori dal vero soprattutto alle prese con la resa di grandi architetture.

Il biglietto costa 10 euro (mostra e collezioni permanenti), con varie riduzioni; domenica 5 marzo però, con l’ultima Domenica al museo, c’è la possibilità di visitare la Galleria gratuitamente. Ci sono a disposizione delle audioguide gratuite; noi non ce ne siamo serviti ma i pannelli esplicativi sono sufficienti a orientare nella visita, che fatta con un minimo di attenzione richiede certamente più di un’ora, considerando anche i possibili rallentamenti causati dalle visite guidate di gruppo. Gli ambienti sono comunque spaziosi e c’è la possibilità di tornare su qualche stanza inizialmente evitata per troppo affollamento. Filmati rivolti ai più piccoli, guardaroba (ma nel piovoso giorno della nostra visita venivano ritirati i soli ombrelli), caffetteria e piccola libreria completano i servizi. Soprattutto per chi milanese non è, ricordiamo che, usciti dalla mostra, che avrete raggiunto molto probabilmente scendendo alla fermata Duomo della linea rossa della metropolitana, molti degli edifici più celebri di Milano (Teatro alla Scala, Galleria Vittorio Emanuele, Duomo, Castello sforzesco), così come le vie dello shopping (da Corso Vittorio Emanuele a via Dante al quadrilatero della moda trar via Montenapoleone e via della Spiga) sono tutti raggiungibili a piedi in pochissimi minuti.

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