Corno d’Africa: per comprendere il rapimento di Silvia Romano

di Alberto Negri (“Ecco cosa c’è dietro il rapimento di Silvia Romano” www.tiscali.it 26/11/2018)

Nella zona dove è stata sequestrata Silvia Romano sono anni che i bianchi non vengono colpiti: i rapimenti più recenti sono avvenuti nel Nord, nella zona di Lamu, sei anni fa, e il banditismo si è manifestato soprattutto nella zona turistica costiera di Malindi, non all’interno. L’area dove è stata presa Silvia è una delle più povere della contea di Kilifi, popolata dai Giriama, tribù in gran parte assai mite e ospitale. Anzi, i presunti rapitori di Silvia Romano, indicati come di lingua somala, sono probabilmente Oromo, che da sempre incutono ai Giriama un atavico timore avendone subito le incursioni sin dal 1700.
Radiografia di un Paese disintegrato
Essere di lingua somala per altro significa poco. Non vuol dire per esempio essere automaticamente degli islamiti radicali o addirittura degli Sahabab, la formazione jihadista. I somali in Kenya – un Paese con 70 etnie diverse tra cui maggioritari sono i kikuyu (cui appartiene il presidente Uhuru Kenyatta) – sono otto milioni e furono inglobati in Kenya negli anni Trenta, ai tempi del protettorato britannico, in uno scambio di territori tra la Gran Bretagna e l’Italia che aveva colonizzato il Corno d’Africa. Molti sono integrati nella società kenyota e alcuni anni fa il capo della polizia di Nairobi era un somalo
Gli stessi Oromo, originari dell’Etiopia ma diffusi a cavallo della Somalia, in Italia dovremmo conoscerli bene, anche se ormai sono stati cancellati pezzi interi della nostra storia pensando che non valga più la pena neppure parlarne.
Tanto per cominciare con l’attualità, in Etiopia quest’anno è salito alla presidenza, per la prima volta, un Oromo, Ahmed Ali. Un anno importante questo per il Corno d’Africa per la pace tra Addis Abeba e l’Asmara, tra l’altro il premier Conte è stato il primo leader europeo in visita da Addis Abeba dopo la storica riconciliazione.
Risorse preziose, quelle che vogliamo prenderci
Gli Oromo sono una popolazione strategica. Il loro territorio di 600mila chilometri quadrati va dalle frontiere con il Sudan alla Somalia, fino all’altipiano abissino. Ospita 10 laghi ed è percorso da 16 fiumi che forniscono energia idroelettrica all’intera area del Corno d’Africa. E’ anche la terra in cui nacque il caffè, nella regione del kaffa da cui appunto prende il nome. Attualmente produce l’80% delle esportazioni di caffè dell’Etiopia e vi sono miniere di oro, platino, nichel, ferro. Ricchezze che alla fine ‘800 portarono al genocidio degli Oromo da parte dell’imperatore abissino Menelik rifornito di armi dai fuoco dai britannici.
La rivolta contro gli italiani
Con l’arrivo del colonialismo italiano passarono sotto la protezione fascista e nacque una sorta di Regno dei Galla e dei Sidda di cui vidi la carta intestata nei ricordi archiviati in famiglia. Galla significa pagani ed è la versione dispregiativa per Oromo data dalle popolazioni musulmane prima che molti di loro si convertissero all’Islam. Ma dopo un entusiasmo iniziale per il fascismo gli Oromo si rivoltarono anche contro gli italiani per ripassare sotto il dominio amarico dell’imperatore Haile Selassié quando, dopo la guerra, fu rimesso sul trono dai britannici. Con il regime militare di Menghistu gli Oromo rientrarono nei loro territori ma le spinte verso autodeterminazione rappresentavano una variabile assai scomoda per i superiori interessi economici e geo-strategici internazionali. Dopo la costituzione del Fronte di liberazione Oromo e lunghe lotte sono tornati in patria soltanto in questi mesi in un’Etiopia apparentemente pacificata mentre la Somalia è ancora tormentata dalla frammentazione, dalla guerriglia e dal terrorismo degli Shabab.
Un puzzle che va disfandosi
E’ in questo pezzo di storia africana, non soltanto in luogo anonimo del bush, che è finita Silvia Romano. Il Kenya partecipa alla battaglia contro gli islamisti somali con 8 mila soldati nel contingente della Nazioni Unite. Quindi è parte in causa diretta di questa crisi e della destabilizzazione che dura dalla caduta del dittatore somalo Siad Barre nel 1991, seguita dalla carestia, dalla morte di centinaia di migliaia di somali, da milioni di profughi e dal fallimento della missione internazionale Unosom guidata dagli Stati Uniti, che si ritirano come gli italiani e molti altri contingenti nel 1995. L’attuale missione Onu tenta in ogni modo di contrastare la disintegrazione somala ma anche la stessa capitale Mogadiscio è bersaglio degli attacchi degli islamisti.
L’occidente se ne frega, la Cina no
Sorge una domanda: come mai le potenze internazionali, tutte presenti con grandi basi militari a Gibuti (c’è anche la Cina) flotte e soldati non intervengono? Perché l’Africa interessa soltanto per il controllo delle vie del petrolio nel Mar Rosso e per le strategie militari di fronte alla penisola arabica, guerra dello Yemen compresa. Così adesso sulla costa e nell’interno sono arrivati i cinesi, in Eritrea, Etiopia e Kenya, a costruire ferrovie, strade e infrastrutture.
Pechino sta afferrando in pugno la polvere lasciata dagli ex imperi coloniali. Ecco che cosa c’è dietro a un rapimento in un angolo del bush povero e di solito ignorato. Ma noi vogliamo vedere soltanto la cronaca di un sequestro, per altro pronunciando sentenze sulle persone e sulla storia di un mondo che un tempo conoscevamo e che oggi ci sforziamo di ignorare fino a quando entra d’improvviso nelle nostre case.