Somoza: Milei, dalla motosega al bastone del comando

Milei: dalla motosega al bastone del comando

Pubblicato: 10 dicembre 2023 in America Latina
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Saranno mesi molto difficili per gli argentini. Lo shock economico annunciato dal nuovo presidente, Javier Milei, mira a ridurre la spesa pubblica di un importo equivalente al 5% del PIL, ma l’obiettivo a lungo termine è raggiungere il 18% del PIL argentino, una cifra vicina agli 80 miliardi di dollari. In Argentina, contrariamente alle comuni convinzioni, la spesa pubblica totale equivale al 36% del PIL, rispetto a una media europea del 51%. Il problema risiede altrove, ovvero che la base imponibile è molto limitata perché una grande massa di lavoratori e attività economiche operano nel settore informale e, soprattutto, perché il paese è gravato da un enorme debito pubblico, che ha raggiunto i 400 miliardi di dollari nel 2023, il 90% del PIL. Si prevede che l’aggiustamento radicale della spesa pubblica, insieme alla privatizzazione di imprese statali in perdita, porterà il bilancio pubblico a pareggio entro il 2024, ovviamente secondo Milei. Ciò dovrebbe essere ottenuto superando prima un picco di inflazione previsto al 240% nel 2024, rispetto al 180% nel 2023.

La liberalizzazione del dollaro, la fine del mercato parallelo, prezzi al consumatore non regolamentati e servizi pubblici pagati al costo reale senza sovvenzioni sono le parole d’ordine, ma dovranno fare i conti con una popolazione impoverita. L’amministrazione uscente di Alberto Fernández ha ricevuto un paese nel 2019 con il 35% della popolazione in povertà e lo consegna con il 40%, compresi gli estremamente poveri, per un totale di 12 milioni di argentini. Questo è uno dei fallimenti più spettacolari del movimento peronista, che, specialmente sotto la guida della coppia Kirchner, aveva adottato una retorica “progressista” dopo essere stato corporativista, neo-fascista e neoliberista in passato.

Dopo il terribile default del 2001, risultato della lunga onda di politiche monetarie degli anni ’90 con il peronista Menem, l’Argentina ha vissuto un periodo di crescita vertiginosa negli anni 2000. È riuscita a risolvere il problema del debito e ha genuinamente aiutato coloro che sono stati colpiti dal default. Tuttavia, l’eterna tentazione populista, specialmente dopo la morte di Néstor Kirchner nel 2010, insieme ai macroscopici errori economici della vedova, Cristina Fernández, è riuscita a creare ancora più poveri, mantenendo un sistema assistenzialista senza speranze, finanziato con il deficit pubblico e la stampa di moneta senza valore, oltre alla distribuzione illimitata di posizioni di potere nello stato e nelle imprese pubbliche, in mezzo a accuse di corruzione fino ai livelli più alti.

L’intervallo del governo Macri, tra il 2015 e il 2019, ha solo aggiunto un nuovo gigantesco debito nei confronti del FMI senza cambiare né l’orientamento economico né la macchina assistenzialista che si nutre della povertà. La fase terminale del declino è stato il governo di Alberto Fernández, un avvocato peronista che ha insultato Cristina Kirchner per anni e poi si è alleato con lei nelle elezioni del 2019. Un governo che ha peggiorato le tendenze economiche suicide dei precedenti governi: controlli dei cambi, dollaro parallelo, restrizioni all’importazione, politiche dirigiste a caso e soprattutto spesa pubblica incontrollata senza freni né controlli. Il voto di novembre 2023, che è stata la più grande sconfitta per il peronismo, è stata solo parzialmente una vittoria per Javier Milei; ha pesato di più il voto contro i responsabili del declino degli ultimi 20 anni. E Milei, essendo un outsider, è riuscito a catalizzare il malcontento lasciando fuori dalla lizza il centrodestra storico guidato da Patricia Bullrich, poi recuperato nella composizione del suo gabinetto. Il presidente Milei non ha ideologie politiche ma solo economiche.

Nel suo governo ci saranno fedelissimi dalla prima ora, figure chiave della coalizione di centrodestra arrivata terza e settori del peronismo anti-Kirchnerista, oltre a rappresentanti del mondo delle grandi imprese nazionali e multinazionali. Un governo di destra, ma di coalizione, unito nel desiderio di chiudere per sempre l’esperienza kirchnerista. Il punto è che l’”istinto animale” di Milei, anti-establishment e caotico, noto per fare l’economista pazzo in televisione, potrebbe giocare un brutto scherzo alla coalizione se davvero intende mantenere le sue promesse con gli elettori. Per ora prevale la moderazione, semplicemente perché il partito di Milei ha 7 su 72 senatori e 38 su 257 deputati. Senza i voti in parlamento dei deputati e senatori di Macri e dei peronisti anti-K, non si governa.

Per ora, le misure annunciate da Milei assomigliano molto all’esperienza del peronista Menem, che vinse le elezioni nel 1989 in mezzo all’iperinflazione. Grazie alla politica di parità tra il dollaro e il peso e alla privatizzazione delle imprese statali, Menem fornì al paese una stabilità artificiale che collassò con il default nel 2001. Molti elementi del governo di Milei provengono da quell’esperienza, ma il mondo non è più quello degli anni ’90, e ancor meno l’Argentina. In quel momento, il paese sudamericano aveva una percentuale di povertà in linea con i paesi del Mediterraneo europeo e, soprattutto, un grande patrimonio pubblico da vendere o meglio da svendere.

Le carte vincenti del nuovo governo potrebbero arrivare dal gigantesco giacimento di gas naturale di Vaca Muerta in Patagonia e dallo sfruttamento del litio nell’estremo nord, oltre alle tradizionali esportazioni di prodotti agricoli. La domanda è se riuscirà a superare le inevitabili scosse politiche e sociali di un piano di aggiustamento così radicale come annunciato. Un aggiustamento, va detto, che qualsiasi candidato vincente avrebbe dovuto affrontare, anche il peronista Mazza. La questione è il tempismo e la sostenibilità politica. Due fattori che gettano seri dubbi sul futuro di Milei, ma se riesce a superare il primo anno, affrontare con successo l’inflazione e mettere in ordine le finanze dello Stato senza aumentare i tassi di povertà, potrebbe avere un futuro politico oltre il suo attuale mandato quadriennale.

In questa analisi ho intenzionalmente tralasciato il tema dei diritti umani e della Memoria, che questo governo metterà in discussione, avendo addirittura negazionisti tra le sue file su quanto accaduto negli anni ’70 in Argentina. Ci saranno sicuramente tentativi di rivendicare una cosiddetta “memoria condivisa”, evidenziando la figura delle vittime innocenti degli attacchi compiuti dei gruppi di lotta armata. Tuttavia, questi temi non hanno minimamente influenzato il dibattito pre-elettorale e non sono previste nell’agenda del nuovo governo misure particolari che li riguardino. Tutto si giocherà sul rapporto tra economia, Stato e società. Ed è su quel campo che si misurerà il successo o la sconfitta di una figura che, in soli 5 anni, grazie alla televisione e ai social media, è riuscita a trovarsi a dirigere un paese del G20.

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