Sfrattati: miseria e profitti nelle città americane

Tratto da “Sfrattati. Miseria e profitti nelle città americane.” di Matthew Desmond, premio Pulizer 2017

Scene da uno sfratto

La donna girava su se stessa mentre cercava di capire da dove cominciare. Disse ad uno dei vice che sapeva che stavano per sfrattarla, ma che non le avevano detto quando sarebbero arrivati. Il suo avvocato le aveva detto che poteva passare un giorno, cinque giorni, una settimana, tre settimane; lei aveva deciso di aspettare. Viveva in quella casa con i suoi tre figli da cinque anni. L’anno prima si era lasciata convincere a ipotecarla con un mutuo subprime. Le rate avevano continuato ad aumentare, passando da 920 dollari a 1250 dollari al mese, e le sue ore al Potawatomi Vasino si erano ridotte dopo la maternità.

I quartieri ispanici e afroamericani erano stati nel mirino dell’industria dei prestiti subprime: gli inquilini erano stati convinti ad accettare pessimi mutui e i proprietari a contrarre prestiti rischiosi. Poi tutto era crollato. Fra il 2007 e il 2010 la famiglia bianca media aveva sperimentato una riduzione dell’11 per cento della propria ricchezza, ma la famiglia media nera aveva perso il 31 per cento. La famiglia ispanica il 44 per cento.

Mentre la donna si allontanava e si metteva a telefonare freneticamente per chiedere aiuto, i traslocatori si scambiavano occhiate stanche e imprecavano sottovoce. Odiavano sgomberare una casa intera a fine giornata, ed era esattamente quello che avevano tra le mani. Uno degli uomini comincio dalla camera di una bambina, dipinta di rosa, con un cartello sulla porta che diceva “la principessa dorme qui”. Un altro si occupò dello studio in disordine, infilando il CV per Dummies in una scatola con una lavagnetta che riportava i giorni di scuola mancanti. Il primogenito, un ragazzino di seconda media, provò a dare una mano portando fuori la spazzatura. La sorella minore, la principessa, teneva per mano sul portico la sorellina di due anni.  Al piano di sopra i traslocatori tentavano di non calpestare i giocattoli, che quando venivano toccati coi piedi protestavano strombettando e lampeggiando.

Man mano che il trasloco procedeva, la donna rallentava. All’inizio aveva affrontato l’emergenza con concentrazione ed energia, quasi correndo in giro per casa con una mano che afferrava qualcosa e l’altra che stringeva il telefono. Adesso vagava in giro per le stanze senza meta, come ubriaca. La sua faccia aveva un’espressione che i traslocatori e i vicesceriffi conoscevano bene. Era l’espressione di chi capisce che la sua famiglia resterà senza tetto nel giro di poche ore. Era come se la negazione cedesse al carattere surreale della scena: la rapidità e la violenza del tutto; gli sceriffi appoggiati alla parete, con la mano sulla fondina; tutti quegli estranei, quegli uomini sudati, che ammonticchiavano le tue cose all’esterno, bevevano l’acqua del tuo lavandino nei tuoi bicchieri, usavano il tuo bagno. Era l’espressione di chi viene sopraffatto da una raffica di domande. Cosa mi serve per stasera, per la prossima settimana? Chi posso chiamare? Dove sono le medicine? Dove andremo? Era la faccia di una madre che risale dalla cantina e scopre che un tornado le ha raso al suolo la casa.

Unione Inquilini – Sesto San Giovanni