Daniele Farina, Sinistra Ecologia Libertà.
Signor Presidente, noi siamo chiamati a parlare di custodia cautelare, di misure cautelari personali, e credo che i colleghi che mi hanno preceduto hanno illustrato in maniera anche abbastanza dettagliata il contenuto di questo provvedimento. Ai fini però della comprensione di chi ci sta ascoltando, di chi leggerà i nostri atti, preferisco chiamare tutto questo col proprio nome di battesimo, e cioè con una terminologia che gli italiani capiscono e ricordano assai meglio: parlo di carcerazione preventiva, essenzialmente del nucleo «industriale» delle misure di cui stiamo parlando. Parliamo di cittadini in carcere in attesa di giudizio definitivo, spesso, come è stato già detto, in attesa di un primo grado di giudizio: 24 mila sono attualmente questi cittadini, e le statistiche ci dicono che in buona parte essi risulteranno assolti, ovvero stiamo parlando di innocenti.
Non credo che, se guardiamo il nostro lavoro da questa prospettiva, si possa far abboccare gli italiani alle sirene, come in quest’Aula è successo a volte parlando dei temi di giustizia. Non credo che gli italiani infatti crederanno che stiamo lavorando ad un’amnistia mascherata, ad un indulto mascherato: cose che pure nostro malgrado siamo stati costretti a sentire, pur nella loro evidente falsità. Noi lavoriamo in realtà lungo quella presunzione di non colpevolezza che incardina una parte importante dell’articolo 27 della Costituzione.
Questo è uno strano Paese, che non ha risorse per garantire un futuro ai propri figli, tamponare le frane o limitare le alluvioni; eppure si permette la galera anche quando essa non serve. E poi, quanti sono – mi chiedo – i carcerati preventivi (per rispondere a qualche obiezione che penso interverrà nel nostro dibattito) per corruzione o frode? Il Ministero ci informa: nessuno. E già questo ci racconta parecchio di che cosa e di chi stiamo parlando.
Per identificare meglio uso le parole di una relazione, di un richiamo, che è quello già citato nel nostro dibattito generale del primo presidente uscente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo. Egli ad un certo punto segnala la necessità ormai inderogabile della rivisitazione del catalogo dei reati per i quali è imposto l’arresto; con particolare riguardo a due settori che contribuiscono grandemente all’affollamento carcerario; quello della materia dell’immigrazione clandestina, e quello del piccolo spaccio di sostanze stupefacenti, anche leggere (parliamo del comma 5 dell’articolo 73). Ecco di cosa stiamo essenzialmente parlando!
E a fianco di queste misure, è di questa riforma modesta (usiamo questa terminologia) che ci accingiamo, spero, ad approvare, noi dovremo con norme di diritto sostanziale intervenire su queste specifiche materie, che il presidente Lupo ci ricordava. Le ultime legislature hanno infatti infarcito il codice penale di nuove fattispecie di reato, e modellato in quella misura anche il codice di procedura, nella credenza che più gente mandavamo in galera, e più ce la tenevamo, e più saremmo stati sicuri.
Il risultato, il bilancio di questa che io chiamo follia, è sconfortante: abbiamo infarcito le carceri spesso di colpevoli di reati di modestissima pericolosità sociale; e in carcere sappiamo tutti cosa si fa: si impara. Abbiamo tenuto assieme responsabili di reati bagatellari e professionisti, e questo è stato un gravissimo errore. Migliaia di borse di studio a Poggioreale come a San Vittore.
La crisi non ci rende più generosi, ma riformare la carcerazione preventiva non è soltanto un atto di civiltà che riguarda la libertà della persona, ma è anche un atto di intelligente egoismo per la nostra sicurezza. Quest’Aula ha affrontato più volte il tema della carcerazione preventiva, credo fin dal 1870 e dintorni con l’onorevole Lucchini. A volte lo ha fatto in una forma organica, altre volte seguendo un percorso un po’ erratico, ovvero di legislazione, con vari provvedimenti, fino alla legislazione emergenziale.
Vorrei chiudere questo intervento ricordando certamente Silvio Scaglia, il manager agli onori della cronaca – purtroppo per lui – per la recente e non fondata carcerazione preventiva, ma mi piace ricordare, in tempi più lontani, anche quel Luciano Ferrari Bravo che si fece cinque anni e mezzo di carcerazione preventiva (in parte anche nel tufo del carcere di Favignana), prima di essere assolto.
Queste è un piccolo ma significativo provvedimento, è meno di quanto vorremmo, ma va nella direzione giusta.
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