L’altro sessantotto di Emilio Molinari.

Emilio Molinari Un altro ’68

50 anni dal 1968. Proliferano i convegni, i libri e le mostre. Protagonisti di quegli anni, ci interroghiamo: abbiamo vinto? abbiamo perso?
Per la maggioranza della gente il ’68 è una nebulosa di violenza, di insensate trasgressioni, di culi nudi che ballano tra nuvole di marijuana.
Oppure qualcuno ricorda che fu il tempo delle libertà personali e sessuali, dei diritti civili e poi del femminismo, del movimento gay, della legge sull’aborto e sul divorzio, conquiste vere che restano e che continuano ad affermarsi.
In Italia, però, non fu solo questo.
E’ una lettura monca dalla quale è stata cancellata una fetta di memoria. Il ’68 italiano non si può leggere separato dal 1969 dei metalmeccanici.
Abbiamo vinto o abbiamo perso…. bisogna leggerlo e spiegarlo con la consapevolezza di questa dimensione e con una provocazione vorrei dire che nel nostro paese ci furono due ’68.
Uno fu il ’68 degli studenti e di molti intellettuali. Un soggetto complesso egemonizzato dalla piccola borghesia radicalizzata, dal suo bisogno di modernità, di liberarsi dalle gabbie e dalle convenzioni della propria classe.
Anche se questo dietro di sé aveva: il Viet Nam, le lotte dei neri americani, il Che e Mao, la lettera a una professoressa, la morte dei due Kennedy e Papa Giovanni XXIII, ideologicamente era diviso tra il comunismo e la cultura del partito radicale e dei liberal americani.
L’altro fu il ’68/’69 dei lavoratori. Dietro di sé aveva lo stesso contesto, ma sopratutto aveva l’epica lotta degli elettromeccanici milanesi del 1960/61. La lotta “delle quattro stagioni” perché durò un anno. E fu durissima, con scontri ai cancelli d’ogni fabbrica, con i lavoratori che passarono la notte di Natale in piazza Duomo e poi lo straordinario contratto nazionale del 1963.

Se guardiamo a ciò che resta, sul filo della provocazione e semplificando, direi che il primo ha vinto. Ha vinto conquistando la politica e la cultura progressista mondiale: i diritti civili, i matrimoni gay, le quote rosa, l’adozione del figlio del partner nelle coppie gay, l’affitto degli uteri, e la vendita del seme e degli ovuli femminili, la libertà di decidere la fine della propria vita, il diritto alle droghe leggere.

Il secondo ha perso. In 50 anni ha perso i diritti sociali e del lavoro, straordinarie conquiste strappate appunto dal lungo 68/69.
Vale la pena metterle in fila e cogliere il significato profondo e l’attualità della grande cancellazione.
Nel novembre del ’68 con uno sciopero generale venne conquistato il diritto ad andare in pensione dopo 35 anni di lavoro, per poter vivere la propria vecchiaia con salute e dignità.
Nel novembre del ’69 con un altro sciopero generale sul diritto alla casa per tutti, fu rilanciata l’edilizia popolare.
E se guardiamo al contratto del ’69: l’orario di lavoro fu ridotto di 8 ore. Non compatibilità economica, ma cultura del diritto, libertà dal lavoro, tempo per sé.
Gli aumenti salariali furono eguali per tutti (operai-impiegati), diritto quindi all’eguaglianza tra i lavoratori nel ripartire la ricchezza prodotta.
Nei primissimi anni ’70 fu eliminato il cottimo e conquistato quel monumento al diritto che è lo Statuto dei diritti dei lavoratori, cose che vollero dire dignità.
Nella primavera del ’69, a Milano, anticipando l’autunno operaio, scesero in sciopero decine di migliaia di impiegati. Fu la rivolta della struttura gerarchica delle fabbriche. Dignità di non essere strumenti del padrone. 150 ore da dedicare alla cultura, diritto alle assemblee in fabbrica ed elezione dei delegati di reparto, unità sindacale.
Dall’incontro e dal convergere tra lotta degli studenti e lotte operaie, nacquero:
Medicina democratica….la salute in fabbrica e poi la riforma del sistema sanitario nazionale che garantì a tutti l’accesso alle cure migliori.
Magistratura democratica, ovvero una giustizia che cercò di diventare “eguale per tutti”, anche per i lavoratori e i cittadini.
Di questo si è perso coscienza e conoscenza.

In 50 anni le culture dei due ’68 si sono scisse, anzi una si è sovrapposta all’altra cancellandola nella politica, nei cuori e nei cervelli del popolo di sinistra. Se si separano i diritti sociali dai diritti della persona non si coglie ciò che vogliono i grandi poteri, e si apre la strada ai disastri.
Questa sovrapposizione è avvenuta tutta nel campo della sinistra, mutandola geneticamente: Jobs act, eliminazione dell’art.18, pensioni, privatizzazioni dei servizi pubblici e della sanità. Il PD e le socialdemocrazie sono una equazione: libertà personali + libertà di mercato = liberismo.

La sinistra non ha voluto affrontare la globalizzazione, guardare al resto del mondo rapinato dall’occidente, ai limiti del pianeta, a una visione integrale che coniuga condizione sociale, ambiente, pace, emigrazione.
La sovrapposizione è avvenuta a immagine delle aspirazioni di un ceto sociale che potremmo chiamare sessantottino. Dell’altro ’68, quello che ha vinto, che è andato anche al potere, che si è autodefinito civile e moderno, che ha cominciato a definire l’altro ignorante, e l’altro l’ha capito e l’ha abbandonato.

Tempo fa, vedendo un bel film, Pride, che parlava della lotta dei minatori inglesi contro la Thatcher (una svolta storica) e di un gruppo di gay che vollero portare loro la solidarietà, mi venne in mente che io c’ero a Londra in quella assemblea. C’ero come parlamentare europeo, ma non la vidi come è stata rappresentata nel film.
In quella platea c’erano centinaia di minatori che guardavano sconsolati un gruppetto di fuori di testa: punk, gay e femministe incazzati col mondo.
Ecco, li in quel momento quei minatori uscirono dalla storia della sinistra, come contemporaneamente in Italia uscirono gli operai della Fiat e quel gruppetto, che a me sembrava fuori di testa, vi entrarono e la conquistarono.
24 maggio 2018