Fisco: nel nostro paese mancano 180 miliardi di euro

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Mille miliardi sottratti al Fisco. E’ la maxi evasione europea
La cifra è stimata da un’accreditata ricerca condotta dall’economista britannico di “Tax Research”, Richard Murphy. Solo in Italia si parla di 180 miliardi di euro. Gli artefici principali sono le grandi aziende internazionali.
MILANO – Il problema è presto detto: ogni anno in Europa sfuggono agli occhi del Fisco un migliaio di miliardi di euro. La cifra monstre è per forza di cose da accompagnare a numerosi punti di domanda, vista l’oscurità che riguarda – per sua stessa definizione – la materia. Ma secondo un’accreditata ricerca condotta dall’economista britannico di “Tax Research”, Richard Murphy, e portata all’attenzione europea dal gruppo social-democratico di Bruxelles, a tanto ammonterebbe il combinato di evasione (850 miliardi circa) ed elusione (altri 150 miliardi) fiscale nel Vecchio Continente. Come ogni tanto accade, se c’è da primeggiare quando invece sarebbe meglio stare in coda alle graduatorie l’Italia arriva puntuale: 180 miliardi sottratti al Fisco dall’economia sommersa, il 27% dell’output economico e primato assicurato. Da questa cifra è facile capire come ogni richiesta di abbassare il cuneo fiscale su imprese e lavoratori, ripetuto come mantra dalle parti sociali, sia destinato a fallire se non si scalfisce questa riserva di denaro finora inaccessibile alle casse pubbliche, con aggravio della collettività contribuente.

In questo panorama, spicca per consistenza il ruolo delle grandi multinazionali, che sfruttando i meandri di una legislazione spesso oscura agli stessi promulgatori, riescono a sottrarre allo sguardo del Fisco buona parte dei loro profitti. A pagare sono anche le imprese più piccole, che non possono permettersi schiere di legali e consulenti per architettare
questi equilibrismi fiscali all’interno delle norme vigenti. Una serie di prassi che la Commissione Ue vuole iniziare a debellare, emendando la norma fin qui vigente e chiedendo ai Paesi membri di adeguarsi entro la fine del prossimo anno. I meccanismi contabili elusivi sono molto articolati, ma di fatto si basano tutti su una strategia che mette insieme norma fiscale e geografia: la ratio è andare a rincorrere con le proprie filiali le normative più vantaggiose, domiciliare in quello Stato l’attività e fare in modo che dalla società residente in quel Paese “amico” transiti gran parte del profitto (quindi dell’imponibile al Fisco). Con buona pace della collettività di un altro Stato, che realmente garantisce a quella azienda il successo acquistando i suoi prodotti, prestando ad essa lavoro, guardando le sue pubblicità: per il Fisco quel mercato è secondario rispetto a quello dove si trova la sede della società “capofila”. Insomma, una corretta gestione dei rapporti intersocietari permette di evitare gli appuntamenti con le tasse.

L’ironia della sorte è che la legislazione comunitaria era nata proprio per tutelare le società. Nel luglio del 1990, la Direttiva sulle sussidiarie, le società “madri e figlie” (Parent-Subsidary Directive, Psd) si preoccupava che le multinazionali non subissero una doppia tassazione sui dividendi o gli utili distribuiti dalle loro filiali. In soldoni, se un’azienda possiede una sede principale nello Stato A e una filiale in quello B, il rischio è che il dividendo staccato da B ad A venga tassato sia nel Paese della filiale che in quello della casa-madre, con evidente ingiustizia e danno per il gruppo. Ma ben presto – dal prevenire la “double taxation” – si è passati al problema opposto, vista l’abilità delle società di sfruttare le maglie larghe della legislazione e un singolo mercato che – in quanto a norme – tanto singolo non è.

Il problema è esploso quando le cronache hanno evidenziato le prassi di alcuni colossi multinazionali, come quelli del web e affini come Google, Apple, Amazon, Facebook, Starbucks, ma anche Fiat che riescono a far passare la loro mole d’affari sotto la lente del Fisco in Paesi dalla tassazione meno severa (come l’Irlanda) rispetto a quella applicata nei Paesi dove si dipanano i loro interessi. L’insieme di pianificazioni fiscali è molto articolato e per ricondurlo entro limiti compatibili con le intenzioni dei regolatori la Commissione Ue ha adottato, nel dicembre del 2012, un Piano d’azione che combatta le frodi fiscali e l’evasione. L’attenzione è alta anche in altre sedi, tanto che la tematica dell’elusione si è conquistata il palcoscenico delle riunioni internazionali del G20 e del G8; nel frattempo l’Ocse ha approntato un piano che nel medio periodo dovrebbe portare a regole anti-abuso per contenere il fenomeno dell'”erosione fiscale” (il tentativo delle società di assottigliare al massimo la base imponibile) e del “profit shifting” (lo spostamento degli utili laddove vengono tassati in misura minore o sono addirittura esenti). Tutti concetti e programmi sostenuti apertamente da Bruxelles.

L’ultima proposta di emendamento della Commissione Ue alla Direttiva europea sulle sussidiarie rientra proprio in questo programma d’azione globale. La proposta riguarda le compagnie che hanno lavorato per ridurre il loro conto fiscale usando “intese artificiose” che riguardano la distribuzione dei profitti o il pagamento dei dividendi tra una società capogruppo e una sussidiaria, residenti in diversi Stati membri. L’obiettivo è rendere sconveniente installare filiali solo per sfruttare i disallineamenti tra le normative tributarie dei diversi Paesi. Ancor più nello specifico, ci si pone il problema di un gruppo transazionale di società madre e filiali che usano i prestiti ibridi per muovere denaro infragruppo.

Le norme anti-abuso, nella fattispecie dello stacco dei dividendi, presentano un caso scolastico: quello di una multinazionale che ha sede extra-Ue. Se la filiale è in un Paese membro che applica la ritenuta sul pagamento dei dividendi verso lo Stato extraeuropeo, basterà interporre nella transazione una filiale intermedia artificiale in un Paese che non applichi questa tassazione. Per la Psd, infatti, non si può applicare la ritenuta sulla distribuzione di utili tra Stati membri e il risultato è che i soldi vanno fuori dall’Europa esentasse. Le norme anti-abuso prevedono che se la società interposta si dimostra essere una “scatola vuota” creata solo come schermo contro le imposte, non si possa più sfruttare la non imposizione tra Stati membri prevista originariamente dalla Psd.

Nell’emendamento fresco di proposta si mettono nel mirino anche altri “strumenti artificiosi” come i prestiti ibridi, che “sono stati identificati come uno strumento di pianificazione fiscale” per “sfruttare le disposizioni della Psd per ridurre al minimo o evitare le tasse”. Avendo la doppia caratteristica di capitale di prestito e di rischio, ai fini fiscali i prestiti ibridi possono essere considerati come semplice prestito in uno Stato e come equity in un altro. Alla fine, può accadere che vengano ritenuti oneri deducibili (relativi agli interessi) nel sistema del pagatore (la controllata) e come dividendo esentasse nello Stato della capogruppo. Il risultato è che si ha una deduzione cui fa seguito un’esenzione. Immaginiamo una capogruppo nello Stato B che garantisce un prestito ibrido decennale da 1 milione alla filiale nello Stato A, che versa 100 mila euro l’anno per dieci anni per ripagarlo. Per ognuno di quei dieci anni, la filiale nello Stato A potrà dedurre quella somma, che a sua volta non sarà tassata nello Stato B della capogruppo. Calcolare quanto venga sottratto alle casse pubbliche, a seguito di questo disallineamento tra le normative, dipende dalle singole aliquote: Bruxelles ricorda come queste vadano dal 10 al 35% nel 2013.

La proposta della Commissione è dunque duplice: obbliga gli Stati ad adottare una regola anti-abuso comune per poter ignorare i “montaggi artificiosi” realizzati per aggirare le regole fiscali e a verificare che l’imposizione sia effettuata sulla base dell’effettiva attività economica. Quanto alle operazioni fiscali relative agli strumenti di prestiti ibridi, prevede che non possano beneficare di esoneri. Uno strumento finanziario ibrido che coinvolge due o più Stati, se è un pagamento effettuato a titolo di un prestito ibrido ed è considerato fiscalmente deducibile nello Stato membro della filiale, allora deve essere soggetto all’imposta nello Stato in cui è stabilita la casa madre. Ai singoli governi ora spetta il compito di armonizzare la normativa, con il poco tempo a disposizione che Bruxelles ha concesso.

fonte: La Repubblica
http://www.repubblica.it/economia/2013/12/09/news/evasione_ed_elusione_fiscale_emendamenti_alla_direttiva_sussidiarie-73106439/?ref=HREC1-8