Sesto. Oldrini Penati e il Giorno della Memoria

Giorgio Oldrini. Sesto San Giovanni è stata profondamente segnata dalla deportazione nazifascista: quasi 600 sestesi sono finiti nei lager e quasi la metà vi sono morti. La nostra è stata una deportazione politica, non razziale. Ma ogni anno ricordiamo la Shoa e poi a maggio, grazie all’Aned, a Ventimilaleghe e all’Amministrazione comunale, organizziamo un numerosissimo pellegrinaggio ai campi. Quello che mi ha sempre profondamente colpito del nazismo è che ha sovvertito le mie (nostre) convinzioni. Pensiamo che la violenza sia sub umana, “bestiale”. Invece lì nei campi, soprattutto al castello di Harteim dove si annientavano i portatori di handicap, cogli con orrore che si trattava di una violenza straordinariamente colta e raffinata. E allora la speranza che la cultura cancelli la violenza disumana vacilla. Consiglio a tutti di venire con noi a maggio ad Harteim, Gusen, Mauthausen.

Filippo Penati. Mi chiamo Filippo come mio nonno paterno che fu deportato, dopo gli scioperi a Sesto del 1943, a Mauthausen e da lì non è più tornato. Nel giorno della memoria desidero condividere un ricordo di un pomeriggio di 25 anni fa trascorso al campo di Mauthausen. Mio papà, che quando deportarono suo padre aveva 17 anni, non aveva mai trovato il coraggio di visitare il campo. Quell’anno ci andammo in tre. Io, mio padre e mio figlio di 9 anni. Arrivammo di pomeriggio di un giorno nuvoloso, il campo era deserto. Eravamo gli unici visitatori in un silenzio agghiacciante. Io tenevo d’occhio mio papà perchè temevo un suo malore e chiesi a Simone, mio figlio, di stargli vicino. Non stette male e finimmo il giro visitando il muro con le lapidi in ricordo dei deportati italiani. Decidemmo che saremmo tornati per mettere anche noi una piccola lapide a ricordo di mio nonno. Lo facemmo qualche mese dopo e ho ancora viva l’immagine di mio papà sulla scaletta appoggiata al muro mentre con un po’ di cemento fissava il piccolo rettangolo di marmo nero e mio figlio, sotto, a reggere la scala