NOI diciamo NO

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Una riforma che concentra tutto il potere nelle mani di pochi. L’obiettivo? Fare meglio gli interessi dei soliti pochi.

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Il NO in crescita e gli indecisi sono un terzo degli elettori

 

Il referendum sulla riforma costituzionale, che si svolgerà (probabilmente) nel prossimo autunno, ha cambiato e sta, progressivamente, cambiando di significato. Di contenuto. In origine, mirava a dare legittimazione sociale alla riforma costituzionale che si propone di superare il bicameralismo paritario. Un sistema istituzionale che ha, da sempre, complicato il processo decisionale del Parlamento. Limitando l’efficacia della nostra democrazia rappresentativa. La riforma ha goduto, all’inizio, di un largo consenso popolare. Così Matteo Renzi l’ha utilizzata per altri fini, oltre a quello originale e originario. In primo luogo: per caratterizzare l’azione del suo governo. Un governo “riformatore”. In secondo luogo, per rafforzarne il sostegno, attirando settori di elettorato estranei e lontani. Non solo al PD, ma alla politica. Il ridimensionamento dei poteri del Senato e del numero di senatori, infatti, piace a molti italiani. Non solo per ragioni di “rendimento istituzionale”. Ma, ancor più, per ragioni “antipolitiche”. Perché tagliare una Camera e un buon numero di senatori, risparmiare sui “costi” dei “politici”: intercetta la diffidenza diffusa verso il “Palazzo”.

Annunciando l’intenzione di dimettersi, nel caso la riforma non venisse approvata, Renzi ha ulteriormente ri-definito il significato della consultazione. L’ha trasformata in un referendum (secondo Gianfranco Pasquino: un plebiscito) sul proprio governo e su se stesso.

In questo modo il premier ha inteso non solo esercitare pressione sugli elettori. Ma “rimediare” al deficit di legittimazione che lo angustia. In quanto governa con una maggioranza variabile, in un Parlamento nel quale non è stato eletto. In questo modo, però, come ho già scritto, Renzi ha politicizzato un referendum antipolitico. E ne ha eroso, in parte contraddetto, le ragioni che gli garantivano consenso.

Si spiega così l’in-voluzione degli orientamenti nei confronti del referendum rilevata da Demos, nel corso degli ultimi mesi. Lo scorso febbraio, infatti, si esprimeva a favore della riforma una maggioranza molto ampia: 50%. Mentre i contrari erano la metà, 24%. Poco meno di quanti non rispondevano, perché indecisi, oppure perché la materia risultava loro poco comprensibile. Oggi, però, la prospettiva appare molto più incerta. Il sostegno alla riforma, infatti, è sceso al 37%: 13 punti meno di 4 mesi fa. Mentre l’opposizione è, parallelamente, salita al 30%. Insieme, è cresciuta anche la componente di quanti non si esprimono: 33%. La distanza, a favore del Sì, dunque, è calata sensibilmente: da 26 a 7 punti. Ma tra coloro che si dicono certi di votare si è ridotta a 3 soli punti. Praticamente: nulla.

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