In memoria di Giuseppe Di Vittorio, per non dimenticare

Il 3 novembre 1957 moriva Giuseppe Di Vittorio, uno dei padri fondatori della CGIL, di cui fu segretario generale dal 1944 fino alla sua morte, avvenuta a causa di un infarto dopo un incontro sindacale, a soli 65 anni. Parlarne in questo particolare periodo storico è necessario, perché fu uno dei personaggi politici antifascisti  più importanti, carismatici e  seguiti del secolo scorso. E’ stato un sindacalista rivoluzionario e prese parte all’assemblea costituente; a lui si devono infatti la stesura conclusiva dell’articolo 40, che tratta il diritto di sciopero, e dell’articolo 39 riguardo al rapporto tra la libertà di associazione e la nascita dei contratti collettivi. Si tratta di principi che furono base fondante dello Statuto dei Lavoratori, firmato dopo anni di lotte sindacali e di morti, solo nel 1970, (lex 20 maggio 1970), e praticamente smantellato dagli ultimi governi. Ricordiamo quindi Di Vittorio con una breve biografia, per il merito di aver dedicato tutta la sua vita alla causa dei lavoratori e per le sue idee democratiche e sempre avanti coi tempi.

Articolo: Giuseppe Di Vittorio

Giuseppe Di Vittorio nasce a Cerignola il 13 agosto del 1892. Il padre Michele è un lavoratore dei campi e tutta la famiglia è costituita da braccianti agricoli. Nel 1904, nel maggio, partecipa ad una manifestazione di lavoratori agricoli, durante la quale interviene la polizia. Quattro lavoratori vengono colpiti a morte. Fra questi un suo giovane amico quattordicenne, Antonio Morra.
Nel 1910, alla fine di novembre, diventa segretario del circolo giovanile socialista di Cerignola, che prende il nome di “XIV maggio 1904”, per ricordare l’eccidio consumato in quell’anno. Il circolo prende ben presto un indirizzo a carettere sindacalista rivoluzionario, staccandosi dal PSI e aderendo alla Federazione di Parma della gioventù socialista. Nel 1915 è richiamato in guerra e dopo aver partecipato a parecchie azioni rimane ferito. Per il suo passato di “sovversivo”, dopo un lungo peregrinare, viene inviato a Porto Bardia, in Libia.
Nel 1921 viene eletto deputato mentre è detenuto nelle carceri di Lucera.  La elezione a deputato avviene in circostanze del tutto eccezionali. Esse ci offrono un quadro della situazione non solo personale, ma ci indicano lo scontro sociale in atto tra la fine del 1920 e la metà del 1921.
In questo periodo dilaga il fascismo, con la violenza piu’ spietata, in molti centri pugliesi considerati le roccaforti del movimento socialista e, soprattutto, delle orgsnizzazioni sindacali dei lavoratori. Queste fanno capo, in parte, alla CGdL, di orientamento socialista, e in misura consistente (Cerignola, Minervino, Corato, Bari) all’ Unione sindacale italiana, di cui Di Vittorio è il maggiore e piu’ qualificato esponente. La resistenza al fascismo era molto forte in Puglia e Di Vittorio ne era uno degli animatori piu’ convinti e deciso. Ed è proprio in seguito ad uno sciopero regionale antifascista, in un momento in cui il movimento operaio è gia’ in ritirata, che Di Vittorio viene arrestato. Su pressione delle leghe e della Camera del Lavoro viene candidato alle elezioni del 1921; lo scontro in quella campagna elettorale è totale: i fascisti provocano una strage a Cerignola (nove lavoratori uccisi). Nonostante il clima di violenza e di intimidazione Di Vittorio viene eletto. Per tutto il 1921 e fino ai primi mesi del 1923, l’attenzione preminente di Di Vittorio e’ rivolta alla situazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni in Puglia, sottoposta ad un’opera di logoramento fino alla distruzione. Egli stesso e’ bandito dalla sua citta’, dai fascisti di Cerignola. Ma e’ a Bari che egli mette a profitto tutta la sua esperienza, nella Camera del Lavoro. L’occasione e’ offerta dallo sciopero nazionale, detto “legalitario”, dell’estate 1922, che ha luogo in tutta Italia per imporre la fine delle delle violenze fasciste ed il ritorno al rispetto della legge.
Indetto dall’ Alleanza nazionale del lavoro lo sciopero si risolse in una amara sconfitta: furono poche le realta’ nel quale si costitui’ un ampio schieramento antifascista. Una di queste e’ stata Bari, e la sua Camera del Lavoro che riusci’ a costituire un ampio schieramento di forze (socialisti, sindacalisti, anarchici, comunisti, ufficiali fiumani, arditi del popolo) e tenne in scacco i fascisti fino all’ottobre del 1921, quando intervenne l’esercito a conquistare e sciogliere la Camera del Lavoro. Sul finire del 1922 per Di Vittorio non e’ piu’ possibile vivere in Puglia. Si trasferisce a Roma. Nel 1924 avviene l’incontro con Antonio Gramsci e con Palmiro Togliatti, che lo porta ad aderire al Partito Comunista. Insieme con Ruggiero Grieco, dirigente comunista pugliese, avvia un’interessante lavoro per gettare le basi di un’organizzazione autonoma dei contadini italiani, in primo luogo nelle regioni meridionali. Il clima e’ quello della semilegalita’ che ben presto diventera’, ai primi di novembre del 1926, illegalita’ piena e totale. Fra il 1928 ed il 1930 è in Urss, rappresentante del Pcd’I presso l’Internazionale Contadina. Nel 1930 va a Parigi per far parte del gruppo dirigente del PCI e per assumere l’incarico di responsabile della CGIL clandestina. E’ fra i primi ad accorrere in Spagna dove ad Albacete partecipa all’organizzazione delle Brigate Internazionali con Luigi Longo e Andrè Marty ed altri dirigenti. Rientrato in Francia nel 1939 dirige “La voce degli italiani”, quotidiano antifascista. Arrestato nel 1941 viene tradotto in Italia e destinato a Ventotene. Nel ’43 viene liberato e partecipa alla di Liberazione. Firmatario del Patto di unità sindacale di Roma del 1944 con Achille Grandi per i democristiani e Emilio Canevari per i socialisti, diviene segretario generale della Cgil unitaria e poi, dopo la scissione, della Cgil fino alla sua morte. Tra le sue innumerevoli iniziative, va almeno ricordato il Piano per il lavoro, del 1949. Nel 1953 viene eletto presidente della FSM (Federazione Sindacale Mondiale). Deputato alla Costituente del ’46, la sua convinta adesione agli ideali comunisti fu comunque sempre contraddistinta da una totale autonomia, che ebbe il suo momento più noto nella condanna decisa della feroce repressione sovietica in Ungheria nel 1956. Un altro punto fermo del suo pensiero fu il rifiuto della violenza nelle lotte di massa e nell’azione del movimento sindacale, convinto come era che nel nuovo regime democratico ai lavoratori erano dati gli strumenti pacifici per sviluppare le loro rivendicazioni e per allargare la loro influenza sugli altri ceti della popolazione italiana.
Non ebbe esitazioni ad ammettere pubblicamente gli sbagli della organizzazione che dirigeva, e memorabile in questo senso rimane il discorso al comitato direttivo della Cgil dell’aprile del 1955, dopo la sconfitta alle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori alla Fiat. Morì il 3 novembre del 1957 a 65 anni, a Lecco, a causa di un infarto, dopo un incontro con i delegati sindacali.

Fonte:http://www.storiaxxisecolo.it/antifascismo/biografie%20antifascisti136.html