Cosa rimane

imagesCA2Y5FDMPubblichiamo l’interessante presentazione di GIORGIO OLDRINI a “Cosa rimane”, il libro recentissimamente scritto dal sestese Giuliano Trezzi.  

Ha ragione Giuliano Trezzi quando scrive che la storia della sua famiglia è emblematica della vita di Sesto San Giovanni e che il percorso suo personale e dei suoi parenti è quello che hanno fatto nella nostra comunità migliaia e migliaia di persone. Lo dico perché nei personaggi e nei percorsi che descrive Trezzi ci sono i miei percorsi e i miei parenti. Mio nonno suonava la cornetta, mio padre e mio nonno paterno lavoravano non alla Magneti Marelli, ma alla Breda, l’altro
nonno alla Ercole Marelli. Mio nonna paterna era molto religiosa, mio nonno materno, romagnolo, assolutamente anticlericale. Il lavoro era l’identità stessa del luogo e dei suoi abitanti, il valore cui tutti si ispiravano, anche quando combattevano dure battaglie contro “i padroni” e per il sogno del comunismo. Come mio padre, i miei suoceri, tanti che hanno riempito la nostra vita affettiva e politica.
Ma anche la nostra storia personale si assomiglia. Pure io mi sono impegnato in politica fin da ragazzo, e ho attraversato i luoghi, ho conosciuto le stesse persone, ho sfiorato il terrorismo e i suoi drammi. Ho passato serate infinite alla Nuova Torretta, ho discusso animatamente con Del Giudice, con Galmozzi, con Maurizio Costa. Ho vissuto la rottura politica e culturale tra la generazione dei nostri padri che aveva lottato eroicamente contro il fascismo e contro i padroni, ma sempre per migliorare e conquistare il lavoro, e quella di chi improvvisamente aveva gridato nei cortei e davanti ai cancelli delle fabbriche “a salario di merda, lavoro di merda”. Aveva così segnato il passaggio tra chi voleva la rivoluzione per il lavoro e chi invece la sognava contro il lavoro. Anche io ho vissuto il sogno di una lunga esperienza latinoamericana, dalla parte dei poveri e dei rivoluzionari che ha segnato la mia vita e quella di mia moglie e dei miei figli, e ho patito i sensi di colpa della separazione da chi qui restava. La nostalgia prima di Sesto, poi dell’America latina l‘ho superata, come mi sembra abbia fatto Giuliano, scoprendo che è una grande ricchezza, perché
significa che si sono vissute persone e luoghi e vicende che sono entrate profondamente nel nostro cuore. Anche noi, come dicevano gli spagnoli dei loro concittadini che tornavano in patria dopo un periodo passato in America latina, siamo un po’ “indiani”, cioè diversi.
Qualcuno potrebbe dire allora che siamo in presenza, leggendo lo scritto di Trezzi e le mie parole, di stereotipi sestesi. Sarebbe un errore pensarlo. Perché dentro una comunità che ha condiviso esperienze, che ha vissuto tempi comuni, c’è poi la individualità di ognuno. C’è quella personale, unica e irrinunciabile dei genitori di Giuliano e dei miei, c’è la nostra diversa personalità e il modo differente di avere affrontato e concretizzato idee, speranze, sogni, rapporti umani e politici. Leggere quanto racconta Trezzi in questo suo diario famigliare aiuta a capire cosa ha unito una comunità e cosa ciascuno di noi ha apportato
di suo, di differente. Qui sta la ricchezza di una esperienza di Sesto e l’impegno a costruire un futuro che sia all’altezza della nostra tradizione. Per questo è bello che chi ha vissuto questa comunità la racconti ai figli e ai giovani, come fa qui Giuliano Trezzi.

(il libro è in vendita in tutte le librerie sestesi al modico prezzo di 10 euro).
Giuliano Trezzi

Cosa Rimane